L’INTERVISTA-Gianmarco Cucchi, una vita per lo Scanzo

 In L'INTERVISTA

Seconda intervista della nostra rubrica omonima. Questa volta è il turno del nostro Presidente Onorario, Gianmarco Cucchi, che da cinquant’anni è all’interno della nostra società, incarnandone i valori e la storia che l’hanno sempre contraddistinta.

Sono 50 anni che è all’interno della società Scanzo. Si può dire che ormai lo Scanzo e Lei siate una cosa sola. Cosa si prova ad essere da così tanto tempo legato a questa realtà?

Sinceramente era un giorno che aspettavo da tanto tempo, il giorno in cui questa società avrebbe compiuto cinquant’anni. Sono molto orgoglioso di aver raggiunto questo traguardo perché mi è rimasta impressa la grande amicizia che si è creata con le persone che c’erano allora e che sono subentrate dopo; ritengo che proprio questa amicizia sia ciò che mi rende più felice.

Lei entra in società nel 1968, con la squadra nata l’anno prima. Che società trovò a quel tempo? Quale filosofia tentò di portarvi dentro?

Faccio una premessa: il mio ingresso in società deriva da una combinazione, come ogni cosa che succede nella vita. Io ero venuto ad abitare di fronte al centro sportivo e sapevo che da qualche mese era stata creata una società sportiva, così, contando sulle mie precedenti esperienze all’oratorio di Covo e alla Romanese, mi sono inserito in punta di piedi offrendo il mio aiuto. L’allora presidente era Ferdinando Vitali e al primo rinnovo della struttura societaria (allora ogni 2-3 anni si procedeva a nuove votazioni per stabilire i ruoli all’interno della società) nel 1970 sono stato incaricato della Presidenza. Pur non sapendo se fosse un ruolo più o meno gravoso, ero molto euforico e cercai di portare soprattutto la mia presenza assidua alle riunioni o agli allenamenti, perché dal mio punto di vista solo così si poteva creare un gruppo e capire eventuali miglioramenti o problematiche che potevano essere attuati nella società e nella rosa dei giocatori.

I primi anni non vanno come sperato, con tre ripescaggi a seguito di tre retrocessioni di fila. Si ricorda cosa non andava in quel periodo?

Nonostante mi si fossero affiancate persone come Tadini e Bironda, soprattutto dal lato economico (allora le 100.000 lire in più o in meno facevano la differenza), secondo me mancava la competenza per poter raggiungere traguardi importanti. Si voleva fare una squadra interamente composta da ragazzi del paese ed alcuni erano quasi restii a comprare giocatori dagli altri comuni, anche se vicini, in caso ci fosse un ruolo scoperto.

In seguito negli anni ’70-’80 riuscite finalmente a consolidarvi in Seconda Categoria. Che calcio era quello? A quale ricordo di quegli anni è più legato?

A livello della bergamasca, c’erano 4-5 squadre che avevano due marce in più (Intim Hellen, Seriatese, ecc.) perché era anni che avevano alle loro spalle una struttura che per quei tempi era molto professionale e che permetteva anche di poter inserire nella rosa i migliori giocatori della Provincia, aumentando la competitività della loro rosa. Allora non esistevano premi partita, i giocatori erano “premiati” al termine dell’incontro con un ottimo pane e salame! Il ricordo più bello che ho è la felicità dei ragazzi, i quali sapevano che, al termine dell’incontro, li avrei portati al Giardinetto a fare la merenda.

Finalmente a fine anni ’80 conquistate la Prima Categoria, agognata da anni e vista come un traguardo notevole. Quanto aspettava quella vittoria? Pesava in società il fatto di non riuscire a conquistarla malgrado formazioni dalle ottime qualità?

In realtà il fatto non pesava molto; c’era rammarico certo perché non si era riusciti a raggiungere l’obiettivo ma questo rammarico durava poco e diventava uno stimolo per migliorare l’anno successivo. Quando finalmente conquistammo la promozione (la prima volta per un allargamento dei gironi imposto dalla Federazione, la seconda sul campo, ndr) io e Flavio, allora segretario dello Scanzo oggi presidente, ci abbracciammo pieni di gioia. Ce l’avevamo fatta!

Con la stagione 2002-03 comincia una cavalcata quasi interminabile che vi porta a conquistare 2 Coppe Lombardia, 2 campionati di Promozione, 1 di Eccellenza e la salvezza in Serie D. Paragonati a questi successi, quelli precedenti sembrano minori. Si possono paragonare o hanno più valore quelli passati?

Non credo si possano paragonare per il semplice fatto che erano momenti diversi. Per gran parte della nostra storia si gestiva la squadra con una mentalità quasi oratoriale, in cui si cercava di far giocare tutti i componenti della rosa nel limite del possibile e si aveva una squadra per 2/3 composta da Scanzesi o da prodotti del nostro vivaio. Oggi invece è molto più professionale la modalità con cui si porta avanti una società. Faccio un esempio: oggi esistono ruoli come il direttore sportivo, il responsabile del settore giovanile, gli allenatori  che devono avere il patentino per poter allenare, che una volta non esistevano; si aveva un presidente che aiutato da un segretario e qualche collaboratore si occupava del lato economico della società, di prendere giocatori, di organizzare le trasferte, di mantenere decorosamente il centro sportivo. Per i tempi che erano, siamo stati i primi a portare in società allenatori forestieri come il brianzolo Caspani o Basetto, addirittura col patentino, perché capivo che la squadra aveva bisogno di una marcia in più. Ecco perché, a mio parere, non si possono paragonare vittorie di epoche calcistiche così diverse.

Lei ha ricevuto diversi premi alla carriera dalla F.I.G.C. e anche la cittadinanza onoraria da parte del suo comune. Cosa si prova ad essere un esempio da seguire per le persone che hanno avuto il piacere di conoscerLa?

Guarda, la cittadinanza ha due facce: quella che parla sempre e non sa il perché parla e quelli che sono interessati all’argomento ma non possono dire la loro perché sono impossibilitati a farlo. Anche per questo motivo, sinceramente ho pianto quando una sera il sindaco di allora, Alborghetti, nel 2005 mi chiamò per dirmi che in dicembre avrei ritirato il premio per la cittadinanza onoraria. Avevo quasi vergogna a girare per il Paese perché era stato tappezzato di manifesti con il mio nome sopra per ricordare ai cittadini che sarei stato premiato. Io non pensavo di aver fatto qualcosa di così straordinario da poter meritare un premio del genere e ne vado orgoglioso, così come mi sentivo quasi un pesce fuor d’acqua ad essere a Roma al cospetto del presidente della F.I.G.C. per ritirare un premio per cui ero stato scelto tra tutti i presidenti di società dilettantistiche italiane.

In 50 anni di presidenza ne avrà viste tante. Ci racconta qualche aneddoto?

Ne racconto due: uno positivo e uno negativo. Parto dal secondo; lo smacco più grande che ho ricevuto è stato quando un giocatore (io ero solito regalare una medaglia al merito a fine stagione a dei giocatori che si erano distinti) mi rimproverò perché alla medaglia preferiva un premio in denaro di 10.000 lire. Insomma si entrava già in una dimensione che era sempre meno pane e salame e diventava più legata ai soldi. Per fortuna poi quella storia è terminata comunque in maniera positiva.

Per quanto riguarda gli aneddoti positivi ne aggiungo un altro quindi diventano due. Ricordo che la prima volta che portai i ragazzi a mangiare la pizza (allora la pizza non si mangiava così spesso come ora, non c’erano moltissime pizzerie, quindi per mangiarla dovevi andare al ristorante) Ivan Rota mi chiese gentilmente se dopo la prima poteva prenderne un’altra e poi un’altra ancora; insomma, si mangiò almeno tre pizze ma forse anche qualcuna di più. Un’altra volta accadde che un nostro giocatore Ravanelli, che faceva il contadino a Gorle, doveva portare un rullo per sistemare il campo prima della partita, ma invece del rullo portò un erpice, perciò al posto che tirare il campo lo arammo, rendendolo praticamente un campo di patate.

Dal 1981 entra in società Flavio Oberti, a cui Lei poi lasciò la presidenza nel 1997. Cosa ci può raccontare di lui?

Posso solo dire cose positive di lui, perché, pochi lo sapranno anzi forse nessuno, ma in un momento difficile per me, in cui andavano male le cose con la mia ditta, mi è stato vicino come un padre. Ecco io lo considero un padre per me, anche se vista l’età dovrebbe essere il contrario, perché soprattutto in quei momenti difficili senza il suo supporto sarebbe stata davvero dura. Per quanto riguarda il passaggio di consegne della carica di presidente è stata una cosa dovuta al fatto che, non potendo appunto per motivi extra-calcistici occuparmi più come prima della società, Flavio si è offerto di aiutarmi “sgravandomi” da questo ruolo e assumendolo personalmente e direi che ha fatto un ottimo lavoro che è sotto gli occhi di tutti. Con lui rimane una grande amicizia calcistica e ne sono orgoglioso.

Altra persona che ha fatto storia nella società accanto a Lei è Roberto Pezzotta, che con la carica di segretario ha condiviso con Lei i primi vent’anni della storia della società e ancora oggi è sempre presente al campo. Cosa portano in più persone con lo Scanzo nel cuore come Roberto alla società?

Con Roberto ho condiviso tanti ricordi, tanti viaggi per andare a prendere i giocatori, farli firmare per la nostra società e perciò mi lega a lui un’amicizia molto forte. Ma vorrei dedicare quest’intervista soprattutto a mia moglie che per 25-30 anni ha lavorato per lo Scanzo quanto me se non di più, anzi sicuramente di più perché le portavo a casa le maglie da lavare e stirare, veniva a pulire gli spogliatoi, a gestire la vendita dei biglietti, insieme alla moglie di Vito Sanseverino. Insomma a lei soprattutto e alle altre persone che è anni e anni che collaborano per portare avanti questa società si può solo che dire loro un enorme GRAZIE che proviene dal cuore.

Tanti giocatori passati allo Scanzo hanno un ricordo in testa: Lei che durante le partite li incita dalla tribuna dando la carica nei momenti di difficoltà, senza mai andare sopra le righe. Si sente come un padre per i Suoi giocatori? Quali consigli dà (se li dà) ai suoi giocatori?

Sono sincero, il mio approccio con i giocatori è sempre stato quello, perché se la nave affonda, si affonda tutti assieme. Io ho sempre cercato di incitare la squadra, prima, quando potevo, standole vicino agli allenamenti, portandoli fuori a mangiare, ora invece incitandoli dalla tribuna, ma con incitamenti, ci tengo a dirlo, che vengono dal cuore. Purtroppo, mi fa dispiacere vedere che tante persone che hanno giocato o sono passate per lo Scanzo non siano rimaste attaccate alla squadra, tanto che in tribuna siamo solo Vito Sanseverino, Roberto, io come persone che seguono costantemente la squadra, anche magari non essendovi più tesserati. Quando vedo che squadre come il Levico vengono qui da noi con 4 pullman pieni di tifosi e noi non riusciamo a riempire la tribuna solo di giallorosso un po’ mi rende triste.

C’è qualche partita o momento particolare a cui è legato di questi 50 anni di storia?

E’ chiaro che le vittorie, non ultima quella del play-out che ci ha permesso di rimanere in Serie D, sono quelle che ti rimangono più impresse. Però io ho sempre preferito quelle partite in cui magari si veniva da un momento di difficoltà e dopo la vittoria si svoltava nelle prestazioni e nel gioco. Un ricordo a cui sono molto legato è quando, mentre io ero in ospedale per problemi di salute, la squadra conquistò una promozione nella categoria superiore e i giocatori mi vennero a trovare all’ospedale per rendermi partecipe della loro gioia per il traguardo raggiunto.

Quali qualità morali sono per Lei le più importanti per un giocatore che si approccia alla realtà Scanzo? Ha qualche consiglio da dare?

Io ho sempre dato un consiglio ai ragazzi, ovvero che una squadra per funzionare bene deve essere compatta e per fare questo anche lo spogliatoio lo deve essere, altrimenti prima o poi l’ingranaggio si blocca. Per questo motivo, a volte mi sono pentito e ho dovuto a malincuore lasciare liberi giocatori che non avevano il carattere adatto ad una realtà come questa. Erano smacchi per me, però ho sempre preferito giocatori che si aiutassero tra loro per raggiungere l’obiettivo a giocatori bravi tecnicamente ma incapaci di fare gruppo.

L’ho chiesta al Presidente Oberti, la chiedo anche a Lei. Ha una formazione da schierare composta dai giocatori che per Lei hanno segnato la storia di questa società?

Sicuramente potrei schierare in campo una formazione del cuore, ma preferisco non sminuire qualche giocatore, facendolo passare in secondo piano, quando invece nella mia testa e nel mio cuore sono tutti allo stesso livello.

 

Devo dire che ascoltare Gianmarco è come aprire un libro pieno di ricordi e di insegnamenti utili per capire davvero cosa voglia dire una società come lo Scanzo. Ritengo che siano proprio la grande umiltà e la sensibilità di questa persona squisita che rendono Gianmarco un esempio da seguire.

Chiudo con la tipica frase conclusiva dei discorsi del nostro Presidente Onorario: FORZA SCANZO!

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