L’INTERVISTA-FABIO CARRARA, ALLENATORE DEGLI ALLIEVI 2001, SI RACCONTA…

 In L'INTERVISTA

Ultima intervista del mese di novembre che ci porterà a conoscere l’allenatore degli Allievi 2001 che stanno disputando il campionato regionale: Fabio Carrara.

Buongiorno Fabio. Lei allena gli allievi 2001 dello Scanzo; come sta andando finora la stagione?

Buongiorno. Ritengo la stagione fin qui tutto sommato positiva; i nostri ragazzi si approcciavano ad un campionato ai più sconosciuto per le difficoltà in esso contenuto, ma hanno avuto un impatto positivo. Viviamo un momento dove purtroppo abbiamo molte assenze, quindi i ragazzi devono continuamente adattarsi per affrontare al meglio un campionato che non concede un attimo di tregua.

Lei allena questo gruppo da due anni. Che tipo di squadra ha trovato all’inizio di questo percorso e a che punto siete arrivati ora? Qual è il prossimo step di miglioramento?

Ho ereditato un gruppo ancora in fase di definizione, sia a livello di singoli sia a livello di collettivo, come credo sia normale per una squadra che esce dal biennio dei Giovanissimi. Credo che ora la situazione sia piuttosto delineata per tutti i componenti della rosa, sia in termini di capacità tecniche, tattiche e atletiche individuali, sia in termini di specializzazione del ruolo. L’ultimo step, il più difficile da raggiungere, è quello della continuità, dell’applicazione  ossessiva nel lavoro di tutti i giorni, requisito fondamentale se si vuole fare calcio ad alto livello. In questo aspetto, complice anche l’età delicata dei ragazzi, siamo ancora carenti, ma ci stiamo lavorando sodo.

La categoria Allievi è spesso l’ultimo tassello che un ragazzo compie prima di essere catapultato in Prima Squadra (quantomeno per allenarsi). Come si affronta una situazione del genere? Quali sono gli ultimi passi che un ragazzo dovrebbe compiere per farsi trovare pronto?

Mi ricollego giust’appunto alla risposta precedente. Il passo dal secondo anno di Allievi alla Juniores o addirittura alla Prima Squadra è di estrema difficoltà e delicatezza. Nonostante non passi giorno in cui non gli venga descritta la realtà del calcio dei “grandi”, i ragazzi non riescono minimamente a immaginare cosa li aspetta. Ho visto una miriade di ragazzi dotati di grande talento fare faville fino agli Allievi e perdersi al momento del grande salto. In quel momento la testa, l’attitudine al sacrificio e soprattutto l’umiltà giocano un ruolo decisivo.

Nella categoria Regionale si ha un alto livello sia di qualità che di fisicità. Quale aspetto dovrebbe prevalere in una categoria come gli Allievi Regionali?

E’ innegabile che la fisicità giochi un ruolo fondamentale nel nostro campionato, specialmente in alcuni ruoli, non tanto intesa come stazza fisica, quanto come passo, intensità e aggressività. E’ altrettanto ovvio che da sola la fisicità non basta, se non abbinata ad una buona tecnica. Non a caso, le squadre che stanno nelle parti alte della classifica sono quelle in grado di mixare al meglio queste caratteristiche.

Anche se, devo essere onesto, con gli anni mi sono reso conto che ciò che indirizza le partite è la tattica individuale. E’ un pilastro fondamentale che ti fa leggere le situazioni in anticipo, sia in fase di possesso palla che in fase di non possesso, e se non sviluppata a dovere rischia di vanificare qualsiasi progresso di tecnica individuale o di tattica collettiva.

Qual è il Suo credo tattico? A quale allenatore si ispira?

Avendo sempre lavorato nel Settore Giovanile, non ho mai avuto un sistema di gioco prediletto, anzi… ho sempre pensato che “formare” un giocatore significhi insegnargli a giocare in diversi sistemi di gioco, in modo da farsi trovare pronto a qualsiasi cosa possa accadere una volta arrivato in Prima Squadra. Ho sempre considerato i sistemi di gioco dei semplici numeri statici e poco espressivi di quello che si vede in campo e di come i giocatori interpretano poi tale sistema. In conseguenza di ciò, ho sempre cercato di allenare per “principi di gioco”.

Tra gli allenatori famosi, ho sempre avuto grande ammirazione per coloro che sanno trasmettere i loro “principi” ai propri giocatori, ad esempio Guardiola, Sarri, Conte, Bielsa, ma potrei citarne molti altri.

Come si è avvicinato al mondo Scanzo? Che aspettative aveva quando arrivò in società?

Era l’estate del 2015. Io avevo deciso di chiudere la mia parentesi al Forza & Costanza di Martinengo, ed ero libero; fui contattato da Beppe Silvestri con cui feci il primo colloquio di persona. Dopo una decina di giorni ci rivedemmo per la seconda volta ed era presente anche il Presidente Oberti e definimmo il tutto. Apprezzai molto il fatto che la Società mi affidasse fin dall’inizio gli Allievi Regionali A, la sentii come un’enorme iniezione di fiducia. Spero di non averli fatti ricredere!

Cosa rappresenta per Lei la possibilità di vivere una realtà come quella giallorossa? In cosa la società potrebbe migliorare, vedendola dall’interno?

Per me è sicuramente un privilegio poter lavorare in una società di questo livello. Ho conosciuto e lavorato in realtà di tutti i livelli (dalla Terza Categoria alla Serie A) e raramente ho trovato una società seria, organizzata, professionale, ma allo stesso umana e accogliente come lo Scanzo, con strutture di prim’ordine e con grande attenzione al Settore Giovanile.

Migliorare quando si è già ad un livello così alto è molto difficile; tuttavia si è obbligati a crescere se si vuole rimanere a un tale livello. Intorno a noi ci sono realtà che stanno crescendo in fretta e che si organizzano in maniera maniacale sul progetto tecnico e sullo scouting.  Ecco, credo che questi ultimi due aspetti possano essere il focus su cui dovremo migliorare ancora di più in futuro.

Passiamo ora a delle domande più specifiche su di Lei. Prima di allenare a Scanzo, quali esperienze da giocatore o allenatore ha avuto?

Da giocatore ho vissuto le mie giovanili tra la Colognese e il Brescia Calcio, mio padre se ne andò molto giovane, io avevo solo 11 anni, e mia madre faticava nel seguirmi. Ho esordito in Prima Squadra a 16 anni e da lì ho giocato dalla Promozione alla Terza Categoria fino ai 27 anni, quando decisi di proseguire solo con l’allenare (salvo qualche anno nel CSI con amici).

Iniziai ad allenare a 23 anni; ho avuto la fortuna di allenare tutte le categorie giovanili dalla Scuola Calcio alla Juniores Regionale, in società dalla Terza Categoria alla Serie A, in qualsiasi tipo di struttura e con squadre di vari livelli, selezionati e non: Barianese, Zanica, Forza & Costanza, Colognese, Brescia Calcio, di nuovo Forza & Costanza e infine Scanzo.

Negli anni ho conseguito il diploma di Istruttore di Scuola Calcio, la licenza Uefa C Grassroots per Settori Giovanili e la licenza Uefa B di Allenatore di Base.

L’esperienza a Brescia fu molto utile per vivere altre esperienze indimenticabili, come due anni di stage all’Academy del Manchester City. Tra le altre esperienze che mi hanno formato tantissimo cito un anno come allenatore per il Milan Junior Camp in Svizzera e tre anni come coordinatore per i Camp italiani del Barcellona.

Ha qualche momento particolare della carriera a cui è legato?

Certamente: il 2003. Venivo da una stagione da giocatore con molti infortuni e stavo per smettere. Poi l’incontro con Fabio Pandini (che resterà mio collaboratore per molti anni) fu l’inizio di una grande amicizia e della carriera di allenatore, ma anche il proseguimento di quella da calciatore. Fu un momento chiave per la mia vita.

C’è qualche ricordo divertente da poter condividere con i nostri lettori?

Ricordo con grande piacere il mese di maggio del 2007. Ero all’Uso Zanica, dove giocavo in Prima Squadra e allenavo i Giovanissimi Provinciali. Nel giro di 8 giorni vincemmo entrambi i campionati, con conseguente pellegrinaggio al Santuario di Caravaggio. In entrambe le categorie non partivamo favoriti.

La Nazionale purtroppo è stata eliminata dal Mondiale, nonostante ci siano esempi virtuosi sia all’estero sia in Patria di come il calcio odierno debba essere affrontato. Se potesse prendere delle decisioni sulla rifondazione del calcio italiano, cosa farebbe?

Ho paura che il nostro calcio non abbia ancora toccato il fondo; purtroppo quello di cui c’è bisogno non restituisce risultati immediati e si sa che in Italia non c’è molta pazienza nel seguire una strada che dia risultati a medio-lungo termine anche se più duraturi.

Nella mia testa ci sarebbero idee come corsi abilitativi obbligatori per allenatori ma specifici per fascia di età (che non vengano considerati qualcosa di inferiore all’Uefa B per le Prime Squadre come accade ora), corsi abilitativi e obbligatori per dirigenti sportivi, ed infine Centri Federali con un programma serio, coeso e continuativo, non fatti come accade ora solo per scimmiottare altri paesi europei.

Concludiamo con il solito “dream team”. Quali giocatori schiererebbe in un’ipotetica formazione dei sogni (può indicare sia suoi giocatori o ex compagni o professionisti)?

La squadra dei 2001 dello Scanzo, con in panchina Alessandro Tassi (mio attuale e indispensabile collaboratore): sono loro in questo momento il mio “dream team”!

Ringraziamo Fabio per i tanti spunti interessanti che ci ha consegnato con le sue parole e auguriamo a lui e a tutti i suoi ragazzi di migliorare ancora il già buon campionato che stanno facendo. Sicuramente questi ragazzi sapranno trarne ottimi consigli da una persona che vanta esperienze così tanto formative come il loro mister.

Ai nostri lettori anticipiamo che la maggior parte delle domande sarà ripetuta all’allenatore dell’altra squadra di Allievi, i 2002, ovvero Giovanni Zanchi, per creare una sorta di panoramica delle dinamiche con cui i nostri Allievi hanno a che fare durante la stagione.

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