L’INTERVISTA-SEVERINO MOROTTI, LO SCANZO NEL CUORE

 In L'INTERVISTA

L’intervistato di oggi sarà sicuramente sconosciuto ai più, soprattutto alle generazioni più giovani. E’ stato citato sia da Gianmarco Cucchi che da Roberto Pezzotta nelle rispettive interviste come un giocatore che ha fatto la storia dello Scanzo durante le prime stagioni della gloriosa storia giallorossa; il suo nome è Severino Morotti ed oggi si racconterà al nostro sito web.

Buongiorno Severino. Lei si può definire uno dei tifosi storici dello Scanzo, dal momento che, insieme al presidentissimo Cucchi e a Richini, non si perde una partita. Cosa significa per Lei lo Scanzo?

Per me lo Scanzo significa semplicemente appartenenza ad un territorio e di conseguenza ad una società.

La squadra è passata in trent’anni dalla Seconda Categoria sino alle soglie del professionismo. Quali differenze nota, oltre ovviamente al salto di qualità, tra le varie categorie?

Passare dalla 2°categoria alla Serie D non è uno scherzo. La società è maturata, è cresciuta mattone dopo mattone, costruendo uno zoccolo duro di base su cui appoggiare l’attività sportiva. I risultati conseguiti e il rimanere per molto tempo a certi livelli dimostrano che dietro c’è una programmazione a tavolino e non solo.

Per quanto riguarda le differenze, direi che esse sono notevoli poichè tutto è molto più veloce, a partire dal gioco in campo, ma anche i trasferimenti di giocatori da una squadra all’altra; insomma…tutto è più veloce dentro e fuori dal campo!

Lei arriva a giocare nello Scanzo praticamente alla sua nascita. Come avvenne il primo incontro tra il calciatore Morotti e la neonata società? Che ambiente trovò?

Io e i miei coetanei giocavamo all’oratorio quasi tutti i giorni ed inevitabilmente si veniva a contatto con persone che poi sono diventate storiche all’interno dell’ambiente Scanzo, persone appasionatissime di calcio.

In che ruolo giocava? Ai tempi che tipo di tattica di gioco si usava?

A quei tempi si giocava col libero, ovvero un difensore centrale che non aveva marcature e giocava staccato di qualche metro rispetto agli altri difensori, per accorrere in aiuto di questi ultimi in caso gli avversari eludessero la marcatura. Io ero appunto uno di quei difensori centrali, spesso il libero.

Lei è stato inserito nella top 11 da ben due persone intervistate nella nostra rubrica: Gianmarco Cucchi e Roberto Pezzotta. Che rapporto ha con loro? Quanto sono importanti persone del genere per la società?

Spero mi abbiano inserito in queste formazioni per meriti sul campo e non per simpatia o per la grande amicizia, sentimento che ci lega ancora oggi. Come dicevo prima queste persone molto appassionate di calcio sono la base del successo di società come lo Scanzo.

C’è qualche partita che Le è rimasta nel cuore del suo periodo in maglia giallorossa?

Sembrerà una frase fatta ma per me tutte le partite erano importanti perciò non ce n’è una in particolare che ricordi più delle altre.

Ha qualche aneddoto, positivo o negativo, da raccontarci?

Un aneddoto negativo purtroppo c’è: durante una partita ebbi un diverbio piuttosto acceso con l’arbitro e mi presi una squalifica di un anno (ai tempi capitavano squalifiche così lunghe anche solo per aver mancato di rispetto al direttore di gara). La squalifica fu poi condonata sei mesi dopo in seguito al goal del bergamasco Domenghini nella finale dell’Europeo 1968 (vinto dall’Italia in una doppia finale a Roma contro la Jugoslavia, ndr).

Cosa pensa di aver lasciato nel cuore di chi L’ha vista giocare in maglia giallorossa? Cosa Le ha lasciato, invece, questa esperienza nello Scanzo?

Penso di aver lasciato un buon esempio di passione, forza di volontà e senso di appartenenza. Ci tengo a dire, però, che sicuramente non sarò stato l’unico ad aver trasmesso tali emozioni, anzi l’elenco sarebbe molto lungo.

Dopo che la Sua esperienza scanzorosciatese terminò, rimase nel mondo del calcio? Se sì, con quale ruolo?

Dopo essermi ritirato, allenai lo Scanzo per sei mesi, sostituendo l’allenatore titolare a causa dei suoi problemi di salute; ma ho capito che fare l’allenatore non è come essere giocatore, anzi è tutta un’altra cosa!!

In seguito sono rimasto comunque nell’ambito della società e ci sono ancora dentro anche se un po’ defilato.

Cosa rimpiange del calcio di allora e cosa invece invidia al calcio di oggi?

Il calcio di allora era molto più dilettantistico, mentre oggi viene esasperato un po’ troppo. Al calcio odierno non invidio proprio nulla, “invidio” solo i giovani che ci giocano mentre io e quelli della mia generazione non lo possiamo più fare per ovvie ragioni anagrafiche (ride, ndr.).

Concludiamo con la solita “formazione dei sogni”. Vesta i panni dell’allenatore e ci indichi 11 uomini che vorrebbe nella Sua squadra tra coloro che, o perché hanno giocato con lei o perché l’hanno particolarmente colpita (anche tra i professionisti), vorrebbe assolutamente allenare.

Come ho detto in una risposta precedente, non è il mio forte fare l’allenatore e non mi permetterei mai di prendere il posto del nostro mitico mister Gino Caspani, che ci allenava quando vestivo la maglia giallorossa.

Mi piacerebbe però disputare una partita a tavola, ben imbandita ovviamente, con i compagni di allora, anche se alcuni ci hanno purtroppo già lasciato. Potremmo passare sicuramente una bella serata! Non so cosa c’entri una cena con un’ipotetica formazione dei miei sogni ma a me piace pensare che finisca così, no?

 

Sicuramente sarebbe una cena esilarante, nonchè una riunione tra alcuni dei giocatori che hanno fatto la storia della società. In attesa di questo cenone, ringraziamo Severino, grazie al quale abbiamo scoperto una persona simpaticissima, dalla battuta pronta, ma che non risparmia alcune frecciatine chiare e concise come lo stile delle sue risposte.

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